RUM TRAVEL 2015 – Jamaica. Il reportage
Xaymaca, la terra del legno e dell’acqua. Così venne battezata l’isola di Jamaica intorno al 1000 a.C. quando i primi indigeni Arawak la colonizzarono.
Basta prendere l’auto e percorrere le strade di questa meravigliosa isola per rendersi conto del perchè. Il dominio delle multinazionali del turismo sulle coste di Ocho Rios, Montego Bay e Negril, unito ad una storia turbolenta che è durata fino agli anni ’90 con gli scontri di Kingston a causa del colonialismo che è ancora palpabile, ha dato origine alla fama di “terra pericolosa” di quest’isola. Fama assolutamente immeritata.
Non esitate a fermarvi nei pressi di Ewarton, Linstead o Bod Walk per un Wray&Nephew & Ting accompagnato da un ottimo pollo jerk, quando da Spanish Town attraversate le colline sotto il parco delle Blue Mountains (con vette fino a 2256m). Godetevi gli scorci sorseggiando un Rum Punch a Discovery Bay, nella strada costiera che collega Ocho Rios a Montego, la baia in cui approdò la prima volta Colombo nel 1494, riportando nel suo diario di viaggio “La terra più bella che occhio umano abbia mai veduto”.
Non lasciatevi sfuggire l’occasione di partecipare ad un concerto raggae a Negril, con i piedi sulla sabbia, lontani dai fasti delle Disneyland di cartone impacchettate sulle spiagge. Godetevi la cucina locale, fate colazione in un posto tipico sulla strada con Ackee and Salt-fish, accompagnato magari da un frutto del pane cotto a legna, e non mancate di assaggiare il capretto al curry.
Lasciatevi contagiare dal mood jamaicano…. feel the vibe!
Non ha senso parlare di storia, di distillerie, di rum, senza parlare di questo popolo, del tornado di passione ed ospitalità in cui verrete catapultati se riuscirete ad abbattere le barriere della differenza razziale, dei luoghi comuni e dei preconcetti della società occidentale.
Questa è Jamaica.
Quando gli indigeni entrarono in contatto con i primi colonizzatori vennero in breve tempo spazzati via, completamente cancellati dall’isola. Alcuni studi antropologici riportano forse una componente genetica degli Arawak ancora mescolata in alcune popolazioni dell’interno, per il resto la Jamaica è composta per circa l’80% da etnie di origine africana e per il restante da mulatti ed asiatici. Solo l’1% della popolazione è di origine Europea.
Dominio iberico fin dalla sua scoperta, la Jamaica venne sottratta agli spagnoli dagli inglesi nel 1655 e divenne in breve tempo la prima nazione al mondo per esportazione di zucchero e, a seguire, di rum. Si conta che alla fine del XIX secolo, poco prima del proibizionismo americano, erano 148 le distillerie operanti sull’isola.
Oggi se ne contano solo sei ufficiali, tralasciando le distillazioni clandestine di Kulu Kulu (che si pronuncia colo colo) nei paesi a ridosso delle distillerie.
La storia del Kulu Kulu nasce proprio nel cuore della Jamaica, si suppone nella zona tra il parish di Trelawny e la Nassau Valley, dove i dipendenti delle distillerie rubavano il rum senza preoccuparsi fossero teste, code o cuore e mescolando tutto insieme arrivando a gradazioni alcooliche che superavano l’80% abv. Kulu Kulu in patwa significa proprio “uncutted”, ovvero non tagliato. Un altro nome che di solito si da a questo distillato è John Crow Batty, il noto avvoltoio Jamaicano, in quanto spesso l’effetto sulle viscere del Kulu Kulu è simile a quello dell’avvoltoio.
Questo rum veniva usato come medicinale, sia sui grandi che sui bambini. Spalmato in testa aiutava a prevenire la febbre, sorseggiato con un goccio di limone e miele curava il mal di gola, spalmato sul petto e sotto il naso combatteva la congestione nasale e le bronchiti. Oltre a questo era lo “spirito” vero di ogni cerimoniale, religioso e sociale. Dalla nascita di un bambino ad un decesso, dal battesimo al matrimonio. Dal festeggiamento all’acquisto di una casa, ogni cerimonia vedeva il rum al centro, come il veicolo per raggiungere un livello spirituale più alto.
Nessun altro distillato è mai stato elevato a così tanto potere.
Oggi la reale distillazione casalinga di Kulu Kulu si trova solo in pochi circoscritti villaggi sui monti della contea di Manchester, nella Nassau Valley e sotto le blue mountains, mentre in commercio, soprattutto nell’area ovest, il vecchio distillato clandestino (nominato John Batty, JB o Jamaican Best) viene prodotto a livello commerciale con l’etichetta di JB, un overproof chiaro, autentico e genuino, simile al suo cugino Wray & Nephew white overproof, che ha in mano quasi l’80 percento del mercato, e che comunque porta con se il potere spirituale tramandato da secoli di tradizioni.
Lo stile jamaicano è unico nel suo genere, peculiarità che l’ha reso famoso nel mondo. Come ci disse anche lo stesso John Georges (lo citiamo spesso in quanto un luminare nel mondo del rum), quel tipo di rum solo i jamaicani sanno come farlo, e nessun altro al mondo.
Ed allora cominciamo il nostro viaggio alla scoperta della sua unicità.
DA KINGSTON AD EWARTON
Partiamo da Kingston e proseguiamo fino a Spanish Town, dove voltiamo nell’autostrada che ci porta su per i monti ed attraversa la Jamaica da sud a nord, sbucando a St. Ann Bay, nei pressi di Ocho Rios. Prima di tutto occorre definire il concetto di autostrada in Jamaica. Dimenticate piazzole di sosta, autogrill, corsie larghe, spartitraffico ed asfalto da pista. Qui l’autostrada è una mulattiera piena di buche e curve in cui a fatica ci si passa se un camion viene nel verso opposto, ed è questo il suo fascino. Gli autogrill sono piccoli “One stop bar” lungo la strada, senza parcheggio, ma nessuno inveirà se rallentate il traffico, nè se vi fermate lungo la strada, per cui guidare diventa un’esperienza unica e rilassante.
Facciamo la nostra prima sosta nel parish di St. Catherine, ad Ewarton, dove ci gustiamo una ting ghiacciata e delle banane fritte prima di lasciare l’autostrada e seguire verso Lluidas Vale in direzione Worthy Park Estate.
WORTHY PARK ESTATE
La Worthy Park Estate è una distilleria storica dell’isola anche se è stata inattiva dall’inizio degli anni sessanta fino al 2002. La storia comincia con la famiglia Price, subito dopo la conquista dell’isola da parte degli inglesi nel 1655, proprietari della distilleria e delle relative piantagioni (circa 850 acri) fino alla seconda metà dell’800. L’attività della distilleria ha subito un periodo buio durante l’epoca del proibizionismo, cadendo in una profonda crisi che si è trascinata fino alla fine degli anni 50, quando si smise di produrre rum e l’azienda venne totalmente convertita a zuccherificio.
Nel 1980 la famiglia Clarke comprò lo zuccherificio e tutto il terreno annesso, allargando la proprietà a 9000 acri di terreno coltivato a canna da zucchero, ma mantenendo lo status di zuccherificio. Solo all’inizio del 2000, più precisamente nel 2002, Gordon Clarke, discendente della famiglia, decide di rimettere in piedi la distilleria, acquisendo i più moderni impianti di fermentazione e distillazione. Sei vasche di fermentazione per rum di medio e basso contenuto di congeneri (fermentazioni controllate di circa 30 ore con lieviti selezionati tra quelli in commercio) in acciaio, chiuse ed a temperatura controllata, e quattro vasche di fermentazione per distillati destinati ad avere un alto contenuto di congeneri (fino a 1000 ppm e fino a tre settimane di fermentazione) in legno. Un alambicco pot still da 18000 litri, di tipo John Doore, che riesce a distillare circa 22 tonnellate di melassa fermentata al giorno, producendo 6000 litri di rum a 85% abv.
Nel 2002 l’idea della Worthy Park, nella mente di Gordon, era di creare rum per la vendita in bulk ai grandi broker europei, ma dal 2007 l’azienda ha cominciato a produrre il proprio overproof per il mercato locale ed a seguire anche il gold, la rum cream e la vodka.
Ad oggi lo stock di botti di Worthy Park annovera circa 10’000 barili di rum in botti di rovere americano ex bourbon provenienti da Jack Daniel’s, di cui gran parte giovani, tranne un piccolo stock di botti che raggiungeranno quest’anno il decimo anno di maturazione.
Cosa rara al di fuori della Jamaica, ma piuttosto normale qui, la distilleria e lo zuccherificio fanno capo allo stesso proprietario, che quindi può decidere che grado di melassa utilizzare per i propri rum.
In verità in questo caso Gordon non ne fa segreto, dicendoci che l’estrazione dello zucchero, anche se in calo negli ultimi anni, è ancora l’interesse principale della sua azienda, per cui le melasse che utilizza (pompate per quasi un miglio nella cisterna della distilleria direttamente dallo zuccherificio) sono black strap a cui aggiunge nutrienti prima dell’inoculazione dei lieviti e successiva fermentazione.
Soddisfatti dell’incontro e con un carico di rum in macchina, salutiamo Gordon nelle prime ore del pomeriggio e riprendiamo la nostra marcia verso Montego Bay.
DA EWARTON A MONTEGO BAY
Attraversare l’autostrada sui monti della Jamaica è sicuramente un’esperienza unica, ma altrettanto unico è il panorama mozzafiato che si staglia quando si scende dai monti verso St.Ann Bay. Il mare dei Caraibi, ai vostri piedi in tutti i colori che potete immaginare e qualcuno in più. L’ autostrada si getta sul mare e noi prendiamo verso ovest, non prima di fermarci a gustare dell’ottimo pollo Jerk da Scotchie, proprio accanto al distributore all’angolo.
E’ oramai pomeriggio inoltrato quando riprendiamo la strada per Montego passando lungo la Discovery Bay, la baia in cui Colombo approdò in Jamaica. Qui la strada è molto curata, larga. L’influsso del turismo si percepisce anche nelle costruzioni, che diventano grandi case in mattoni… perlomeno quelle sul fronte strada.
Il panorama non cambia fino a Montego Bay, anch’essa oramai fuori dagli schemi della Jamaica rurale, intrisa di resort e villaggi vacanze. In compenso il mare toglie il fiato.
HAMPDEN ESTATE
Solo una penna come la Allende o come Baricco potrebbero descrivere a parole quello che si prova nell’entrare in questa distilleria. Un tuffo nel passato lungo più di trecento anni, davanti ai vostri occhi, intorno a voi. Se chiuderete gli occhi e lascerete che il calore, l’umidità e gli odori vi avvolgano, sentirete l’essenza suprema del rum jamaicano nella massima espressione della sua antica tradizione.
Peppie Grant ci viene a prendere a Montego e ci porta in distilleria. Un giro nella nuova area di accoglienza ospiti di recente costruzione (l’anno scorso non la visitammo), un rum punch, una canna da zucchero da masticare ed un pò di acqua di cocco e si parte per la visita. Come per Worthy Park, anche qui i turisti non sono ammessi, o perlomeno non completamente. Una visita “parziale” sarà possibile se insisterete.
Varcata la soglia della distilleria l’odore acre dell’acetificazione del vesou vi penetrerà nelle narici come un coltello, mescolata all’odore delle lunghe fermentazioni a cielo aperto in vasche di legno e delle vasche di dunder. Benvenuti in Jamaica e nel suo rum, ancora una volta.
Una settimana di fermentazione per un “vino” potente e ricco.. in grado di sviluppare dopo la distillazione oltre 1500 ppm di congeneri. Accade solo qui, nel rum.
Un tempo il complesso industriale della Hampden Estate comprendeva sia lo zuccherificio che la distilleria; oggi solo la distilleria è stata rimessa in funzione, mentre la melassa ed il succo vergine vengono acquistati dalla vicina Long Pond, anch’essa nel circuito della famiglia Hussey/Harris.
Il processo di produzione alla Hampden rispetta a pieno il vecchio metodo in uso in Jamaica, fermentazioni lunghe, sour mash, distillazione in pot still ed alta quantità di esteri. Ma vediamo nel dettaglio, cominciando da materie prime e fermentazione.
Come già riportato nell’articolo dello scorso anno in Hampden si fermentano in prevalenza melasse, ma anche succo vergine di canna da zucchero.
Quest’ultimo, lasciato a decantare all’aria aperta per qualche giorno sviluppa acido acetico, fondamentale per alzare il livello di esteri all’interno del wash. Le fermentazioni avvengono a temperatura ambiente usando la tecnica del sour mash, ovvero aggiungendo il dunder al wash. Il dunder è la schiuma ricca di lieviti che si crea sulla superficie delle vasche di fermentazione, che contiene, oltre ai lieviti attivi, anche cellule di lieviti morti (proteine), e varie sostanze aromatiche. Il trattamento del dunder è molto importante, in quanto se si sottopone quest’ultimo ad eccessivo stress i lieviti possono subire mutazioni importanti che portano ad un radicale cambio di flavour e livello alcolico nelle fermentazioni successive. Il dunder in eccesso, unito alle fecce di distillazione, viene usato come fertilizzante.
Le fermentazioni possono durare da un minimo di tre giorni ad un massimo di sette. Il controllo delle fermentazioni, atto ad evitare la morte dei lieviti per eccessiva concentrazione di alcool od eccessivo innalzamento della temperatura, avviene tramite diluizione con acqua prima della fermentazione.
Le melasse ed il succo vergine sono fermentate separatamente in grosse vasche di legno di cedro di capacità variabile tra 1500 e 3000 galloni, e vengono miscelate in rapporto variabile a seconda della quantità di esteri che si vuole produrre poco prima della distillazione. I rum della Hampden possono avere quantità di esteri variabili tra 80 e 1600 mg/l. A volte si producono distillazioni anche con una concentrazione di esteri superiore (1700/1800) ma il loro utilizzo è prevalentemente legato all’industria cosmetica per la produzione di profumi e non alla produzione di rum.
La distillazione in Hampden avviene attraverso alambicchi discontinui in rame (pot still) con doppio deflemmatore gli stessi che abbiamo visto in Worthy Park ma di dimensione più contenuta. La capacità di questi alambicchi (ne sono rimasti tre dai quattro dello scorso anno) varia da 2000 a 5000 galloni ed il grado alcolico in uscita è tra 82% ed 85% abv.
Usciamo dalla distilleria e Peppie con orgoglio ci mostra la nuova Ageing House, costruita negli ultimi mesi, dove riposano più di 3000 botti di cui le più vecchie devono compiere i 5 anni.
Come di rito, ormai, non si può abbandonare la distilleria senza buttarsi nelle piantagioni alla ricerca di una canna matura da raccogliere e masticare durante il viaggio. Ahimè la fornitura di Peppie si limita ad un coltellino, utile per tagliare la canna ma un pò meno per sbucciarla. La comparsa di Willie in bicicletta, che si offre di aiutarmi con il suo machete, mi salva da una pessima figura.
NEGRIL
Prendete i colori del mar dei Caraibi e confinateli in una baia di oltre sette miglia, aggiungete un pizzico di vera ospitalità jamaicana, una cucina eccelsa, una spiaggia bianchissima ed un concerto raggae in spiaggia, sottraete 5 miglia a nord di Disneyland di cartone ed il risultato è Negril.
Qui la vera Jamaica si affaccia sul mare e la tradizione del popolo dei pescatori si intreccia con le tradizioni dei popoli di agricoltori dell’interno. Non mancate il MEGA MONDAY, raggae live night, al Bourbon Beach e non perdete la possibilità di assaggiare dei meravigliosi gamberi al cocco croccanti da Alfred’s. Infilatevi in macchina ed inerpicatevi lungo la One Mile street subito dopo il paese, che i locali chiamano One Love Street, godetevi il panorama mozzafiato, fate shopping nei negozietti e non mancate di fermarvi poco più avanti nella fisherman’s house sulla scogliera per assaggiare il miglior pesce della zona.
Ed infine, provate l’emozione di essere trascinati in un piccolo villaggio dell’interno di sera, mentre alla consolle un dj improvvisato che ha appena rubato la corrente pubblica è riuscito ad attaccare il suo impianto stereo e sul fuoco stanno cuocendo aragoste e pesci di ogni genere…
Tutto questo… non ha prezzo.
Questo è il posto che non vorrete mai più lasciare, il posto che come una grande mano entrerà nel vostro petto e vi stringerà il cuore fino a togliervi il respiro. Qui, come un uragano, sarete travolti dal ritmo, lo sentirete scorrervi nelle vene…. feel the Vibe.
APPLETON ESTATE
Ahimè come tutti i viaggi prima o poi devono finire. E quindi quale migliore modo per alleviare l’amarezza, se non quello di concludere con la visita ad una delle distillerie più importanti dei Caraibi?
Prendiamo la strada che prosegue verso la costa sud della Jamaica e passando da Savanna La Mar ci addentriamo nel parish di St. Catherine, poco sopra il piccolo villaggio di Maggotty, dove è sita la distilleria Appleton Estate.
Ci troviamo nel cuore della Jamaica, in quella che è nota come Cockpit Country, ovvero una valle contornata da piccole colline calcaree formatesi a seguito di eruzioni vulcaniche e terremoti che hanno portato l’isola fuori dall’acqua.
A ridosso di queste colline, nella Nassau Valley, Appleton possiede più di 4000 ettari di canna da zucchero, sufficienti a coprire il 95% della produzione di Appleton Estate. Il restante 5% viene acquistato da piccoli proprietari della stessa zona. La raccolta avviene una volta all’anno, nel periodo compreso tra gennaio e aprile, anche se la melassa ricavata viene conservata per tutto l’anno.
In Appleton si usano dieci tipologie di canna da zucchero e nessuna di queste è geneticamente modificata. Inoltre si opera il taglio verde a macchina da qualche anno, ovvero si è interrotta l’usanza di bruciare le piantagioni prima della raccolta e la canna viene defogliata al momento, lasciando le foglie sul terreno, onde evitare di alterare l’ecosistema circostante.
Al termine della raccolta la canna viene trasportata al mulino (di proprietà) dove viene lavata e pressata per estrarne il succo. Il succo viene successivamente scaldato e centrifugato per estrarne lo zucchero. La melassa prodotta in questo processo è quella che andrà poi in distilleria per la fermentazione.
Per avere un’idea numerica:
10 ton. Canna da Zucchero -> 1 ton. zucchero + 0.4 ton di melassa
0.4 ton. di melassa -> circa 180 bottiglie di rum.
Riguardo al processo di fermentazione, Joy Spence ci tiene a precisare: “i lieviti che usiamo in Appleton sono frutto di una accurata selezione negli anni e sono tramandati di generazione in generazione. Essi appartengono all’aroma del nostro rum in modo indissolubile. Non potremmo mai creare il nostro rum con lieviti commerciali, ne con lieviti selvaggi indigeni”, ad evidenziare ancora una volta come il processo di fermentazione sia la vera anima nella costruzione del prodotto finale.
Il processo di fermentazione in Appleton dura 36 ore, al termine delle quali il “dead wash” ha una percentuale di alcool pari a circa 7% abv.
A questo punto subentra la distillazione. In Appleton si usano entrambi i tipi di distillazione, quella discontinua in Pot Still di rame, da cui il distillato esce a circa 85% abv e quella continua in alambicco continuo in acciaio, da cui esce a circa 96% abv. Il Pot Still può produrre un distillato con una concentrazione di congeneri compresa tra 50 mg/l e 1500 mg/l, quindi da distillati a basso contenuto di esteri a distillati ricchi di esteri, l’alambicco a colonna produce invece un rum ricco di alcoli leggeri (quindi sentori morbidi di burro), ma povero di esteri.
Chiaramente ognuno dei due alambicchi, gestito in modo corretto, può produrre una diversa tipologia di distillato (MARK). Tutti i differenti MARK di rum vengono poi portati nella sede di Spanish Town e diluiti a 80% abv per l’invecchiamento ed il successivo blending.
Il blending in Appleton avviene solo AL TERMINE dell’invecchiamento, mai prima. Ogni mark viene separatamente invecchiato in botti di prima scelta di rovere americano ex-bourbon ri-tostate, che donano al rum dolcezza (zucchero del legno), colore e rotondità (tannini) e sentori di vaniglia, caffè, cacao, ecc (flavonoidi).
L’invecchiamento in Jamaica è un invecchiamento tropicale. Confrontato con quello in clima scozzese, l’estrazione e la trasformazione del rum all’interno delle botti è di circa 1:3, con una evaporazione annua (angel’s share) di circa il 6% contro il 2% scozzese. In altre parole, in termini di estrazione e trasformazione, 10 anni di invecchiamento in Jamaica equivalgono a 30 anni di invecchiamento in Scozia.
Per questa ragione le botti vengono sottoposte ogni tre anni ad un processo chiamato Brimful, ovvero le botti dello stesso anno e dello stesso “Mark”, vengono ricolmate tra loro. Mediamente da 10 botti colme, dopo tre anni se ne riempiono solo 7. Questo processo è molto importante per la produzione di rum invecchiato. Se ciò non venisse fatto, in una botte di rum di 21 anni, probabilmente ci sarebbe al massimo un litro di rum con un livello alcolico quasi inesistente.
Al termine di questo processo subentra il vero lavoro di Joy Spence e Dave Morrison, il blending, volto a creare quell’aroma caratteristico dato dalla miscela di tutto questo patrimonio di botti, che ritroviamo nelle varie etichette di Appleton.
A questo punto il nostro viaggio è davvero finito e ci congediamo con la gioia nel cuore e la tristezza negli occhi, certi che presto torneremo in questa terra. Non possiamo farne a meno.
Aspettandovi il prossimo anno a Barbados, per un nuovo #RumTravel by Isla de Rum… Respect!